
Mussolini soffriva di complessi d’inferiorità nel confronti di Hitler e per mettersi in luce ai suoi occhi dichiarò guerra alla Grecia. Pensava di sottometterla in fretta, ma si sbagliava e toccò proprio a Hitler intervenire per evitare il disastro.
Cominciò alle sei meno un quarto del 28 ottobre 1940. Al quartier generale delle forze italiane in Albania arrivò un messaggio cifrato PAPA (Precedenza Assoluta su Precedenza Assoluta) diretto al generale Sebastiano Visconti Prasca: la Grecia aveva respinto l’ultimatum di Mussolini. La guerra era iniziata.
I cinque battaglioni della divisione alpina Julia scattarono dalle loro basi a Ersekele e Leskoviku, in territorio albanese, verso Pelati: un ponte in pietra e mattoni che scavalcava il fiume Sarandaporo, confine naturale tra Grecia e Albania, nel punto più stretto di una angusta gola tra due ripide colline verdi. Non c’era nessuno: il minuscolo contingente greco di guardia alla frontiera era scappato. Probabilmente qualcuno dei 9.140 alpini che marciavano agli ordini del generale Mario Girotti sperò che, come prometteva il Duce, la Grecia si sarebbe arresa ai primi colpi di fucile. Ma tutto andò diversamente.
Decisioni irrevocabili
Se Gironi e i suoi uomini si trovavano a marciare nel fango spesso quattro dita sulla strada che si inerpicava da Perati verso la conca di Fourka, una ventina di chilometri oltre il confine, era perché Benito Mussolini, il 15 ottobre, aveva preso una delle sue famose “decisioni irrevocabili”: attaccare la Grecia, ufficialmente per impedire a questo paese di fornire appoggio agli inglesi. L’annuncio era stato dato in una riunione ristretta a Palazzo Venezia con il ministro degli esteri Galeazzo Ciano, il sottocapo di stato maggiore generale Ubaldo Soddu, il luogotenente per l’Albania Francesco Jacomoni e i generali Pietro Badoglio (capo di stato maggiore) e Visconti Prasca. In realtà Mussolini era ossessionato dal confronto con Hitler: spinto da un complesso di inferiorità voleva dimostrargli che anche gli italiani erano buoni combattenti. La Grecia era la fissazione del conte Ciano, preoccupato dell’espansione del capitalismo tedesco nei Balcani e desideroso di mettere le mani sulle preziose miniere di nickel a Uiymna, a nordovest di Atene. Già il 13 agosto aveva convocato il generale Visconti Prasca, ordinandogli di prepararsi ad attaccare la Grecia dall’Albania (che l’Italia aveva occupato nel 1939), ma era stato bloccato da Hitler, che non voleva estendere il conflitto anche ai Balcani. Il 12 ottobre un fulmine a ciel sereno: Hitler aveva occupato i pozzi petroliferi della Romania senza avvisare il suo alleato. Mussolini andò su tutte le furie e tre giorni dopo convocò la fatale riunione di Palazzo Venezia. Il vero errore fu quello politico: illudersi che la Grecia si sarebbe arresa senza combattere, mentre il dittatore Ioannis Metaxas, che governava il paese, non aveva la minima intenzione di chinare il capo.
Un bagno di realtà
Nella totale confusione che Mussolini aveva in testa, la Bulgaria avrebbe dovuto attaccare la Grecia da nord, distraendo buona patte dell’esercito ellenico. Le poche divisioni italiane già presenti in Albania avrebbero quindi potuto occupare l’Epiro. Poi, ci sarebbe stato tempo per conquistare il resto del paese. Le divisioni di fanteria Siena e Ferrara dovevano irrompere in Epiro assieme alla divisione corazzata Centauro. La Julia aveva il compito di attraversare le montagne del Pindo e prendere il passo di Metsovo, 80 km dal confine, che rappresenta l’unico passaggio verso la pianura della Tessaglia. Altri 5mila uomini dovevano muoversi lungo la costa verso il porto di lgorimenitsa. Altre truppe sorvegliavano i confini con la Greca verso est, senza muover si. In tutto, 87mila uomini con circa 600 cannoni. Il governo bulgaro se ne guardò bene dal partecipare a una guerra suicida come quella e, libero da quella preoccupazione, nel giro di pochi giorni Metaxas Sebastiano Visconti Prasca era Nato nel 1883, partecipò alla guerra italo-turca e poi alla Prima guerra mondiale. Nel 1936 pubblicò il libro Guerra decisiva, a favore della guerra di movimento. Il libro piacque molto a Mussolini e nel maggio 1940 fu nominato comandante in capo delle forze in Albania. Dopo essere stato destituito, però, non ebbe più comandi. Nel 1943 si unì alle forze partigiane: fu catturato dai tedeschi ma sfuggì alla fucilazione. Morì nel 1961.
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